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Hesher è stato qui - Recensione

01/02/2012 | Recensioni |
Hesher è stato qui - Recensione

Una bomba pronta a deflagrare. Chi è Hesher? Un diavolo o un angelo? Di certo non è un tipo che passa inosservato. “E’ un folle. Qualcosa a metà tra un punk e un metallaro” ha sottolineato l’attore che lo interpreta Joseph Gordon-Levitt. Perfetta sintesi.
Un buono o un cattivo? Non si sa davvero ed è questo che rende il film interessante.
Esordio alla regia di un lungometraggio per Spencer Susser, Hesher è stato qui! racconta la storia di TJ (Devin Brochu), un ragazzino di tredici anni che sta affrontando la prova più dura, la recente perdita della madre. Il ragazzo è devastato anche dalla straziante reazione del padre Paul (Rainn Wilson), chiuso nel dolore e incapace di reagire. TJ conduce una vita inquieta fino a quando casualmente si imbatte in Hesher (Joseph Gordon-Levitt), un individuo bizzarro, senza fissa dimora e che vive di espedienti. All’improvviso Hesher si presenta davanti alla porta di casa sua e si insinua nella sua vita. Dopo la morte della madre, TJ e suo padre vivono a casa della nonna (Piper Laurie) che si occupa di loro e cerca di mostrare a entrambi che la vita deve andare avanti chiedendo in cambio solo un po’ di compagnia per le sue passeggiate. Ma sia Paul che TJ sono troppo concentrati sulle loro vite stagnanti per accompagnarla.
Nel frattempo TJ prova i suoi primi sentimenti amorosi per una cassiera di un supermercato precaria (Natalie Portman) e tenta in tutti i modi di riscattare l’auto sulla quale è morta la mamma. Ma è proprio Hesher a mostrare a TJ e a Paul come stiano ignorando l’unica presenza positiva nelle loro vite. A dispetto delle loro evidenti diversità, Hesher e la nonna fanno amicizia. Il ragazzo sarà l’unico ad apprezzarla veramente e l’unico capace di ascoltarla davvero. Nonostante i suoi comportamenti eccentrici, Hesher accoglie TJ sotto la sua “particolare” protezione offrendo al ragazzo e a suo padre la possibilità di riprendere in mano le loro vite. 
Capelli lunghi, tatuaggi artigianali sul petto, modi violenti, lessico sboccato, lattina di birra sempre tra le mani e sigaretta perennemente accesa, ecco un perfetto anti-eroe che all’improvviso si accasa in una famiglia distrutta da un grave lutto.
Uno scontro di mondi, un incontro devastante e allo stesso tempo catartico. Hesher colpisce duro, mette letteralmente al tappeto un ragazzino di tredici anni costringendolo a fare i conti con la sua rabbia repressa (che tenta di sfogare nel disperato tentativo di recuperare l’auto dell’incidente fatale alla mamma). Il diabolico metallaro impatta con violenza, picchia (e lascia picchiare senza alzare un dito), investe perfino con il suo furgone scassato il ragazzino, lo butta a terra e gli dà la scossa decisiva. Come la darà a suo padre. Hesher è stato qui ovvero un diavolo (o un angelo) è stato qui e ha preso per mano due anime smarrite insegnandogli di nuovo a camminare. Ma le interpretazioni potrebbero essere anche di più. Rappresentazione della vita, della morte, simbolo di una tragedia sconvolgente o di una nuova esistenza che si può aprire dopo un grande dolore. Al di là delle tante possibili metafore, resta un film che ha il pregio di far leva su un personaggio originale e scorretto, odioso e adorabile allo stesso tempo, anche se poi una sceneggiatura non ancora matura (il film è scritto a quattro mani dal regista Spencer Susser con David Michôd, regista di Animal Kingdom) lo fa scivolare in un finale che sceglie la facile strada della commozione.
Resta il merito degli attori, su tutti Joseph Gordon-Levitt incredibilmente versatile nel passare da ruoli come quello interpretato nella commedia (500) giorni insieme a questo vagabondo punk-metallaro con il vizio di incendiare case, garage, automobili, perfino piscine, ben affiancato dall’espressivo visetto di Devin Brochu.
A impreziosire il tutto una stella come Natalie Portman che figura anche come produttrice del film e che presta il suo talento al personaggio di una cassiera che vive debolmente le avversità della vita accettando coraggiosamente di imbruttirsi (anche se, a dire il vero, non le riesce più di tanto) nascondendo la sua bellezza dietro a un paio di occhialoni da vista e un abbigliamento dimesso. Talento, intelligenza e fascino.

Elena Bartoni

 


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